di Pierluigi Palmieri
Quando nel giro di poche ore, ti capita di leggere “I giovani tornano alla terra”, titolo di un articolo de Il Centro, e di guardare in TV più servizi della Rai sui mercati ortofrutticoli del Sabato, pensi che non sia una semplice coincidenza. Se poi hai una naturale propensione per gli approfondimenti, vai a ricercare le ragioni che hanno portato alla ribalta la nuova generazione di impresari della terra. Tornano alla mente le ricorrenti analisi, le riflessioni e le relative deduzioni sulle cause che intorno agli anni settanta avevano portato all’abbandono in forma massiccia delle campagne. Personalmente credo nella connessione del fenomeno con l’istituzione della Scuola Media Unica (1962), fatto questo che portò all’abolizione delll’ Avviamento Professionale. E’ vero che questa innovazione interruppe la sistematica discriminazione tra gli alunni che frequentando “vecchia” scuola media avrebbero potuto proseguire gli studi nelle scuole superiori, fino all’Università e gli altri che, al termine dell’Avviamento se non immessi direttamente nel mondo del lavoro, avrebbero potuto scegliere esclusivamente gli studi tecnici nei diversi indirizzi dell’industria, dell’artigianato e appunto dell’agricoltura. E’ altrettanto vero che con l’occasione nacquero nuove opportunità per i giovani adolescenti perché con il progressivo sviluppo delle pari opportunità ebbe inizio un processo di integrazione che nel tempo avrebbe consentito ai più meritevoli di accedere, in numero crescente, ai Licei e quindi alle Facoltà considerate fino ad allora d’élite. Erano passati quarant’anni dalla prima riforma che, con il percorso complementare voluto da Giovanni Gentile, aveva eliminato il preestistente divieto di proseguire gli studi per i ragazzi che,dopo le elementari conseguivano la “licenza tecnica” . La Costituzione Repubblicana nel 1962 compiva 14 anni, la stessa età prevista per l’obbligo scolastico, e da quella data il processo di integrazione tra giovani di “classi” sociali diverse trovò nelle “classi” scolastiche un vero e proprio catalizzatore. Il principio sancito dalla “Carta” passava all’atto pratico. La scuola fu effettivamente aperta a tutti; l‘istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, divenne obbligatoria e gratuita; i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, potettero raggiungere i gradi più alti degli studi; questo diritto fu reso effettivo con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, attribuite per concorso. (rif. articolo 34 C.I)
Questo passaggio storico, indubbiamente positivo, ha generato però un paradosso. L’opportunità di proseguire gli studi anche dopo il liceo tolse un gran numero di “braccia” dalla disponibilità delle famiglie che, per generazioni, si erano tramandate il “mestiere” di padre in figlio, A risentirne in maniera evidente furono sia il settore dell’artigianato sia quello del Commercio, ma nel mondo agricolo, in pochi anni, venne a crearsi un vero e proprio gap generazionale. “Nessuno vuole lavorare più la terra” lamentavano i vecchi contadini, Per qualche decennio la tecnologia, intervenuta a perfezionare le macchine agricole, permise di contenere , anche se solo parzialmente, il fenomeno dell’abbandono delle campagne e delle realtà rurali, anche per contributo degli stagionali stranieri. Questi risultano ancora oggi essenziali là dove le macchine non sono capaci di sostituire le braccia dell’uomo, come, ad esempio, nella posa delle piantine di mais, e delle insalate e dei pomodori destinati alla grande distribuzione. Ma c’è un settore in cui non c’è tecnologia che tenga, che, grazie ai giovani di terza e quarta generazione rispetto a quelle degli anni settanta, stanno tornando nelle campagne dei loro bisnonni ed è quello dei prodotti di nicchia, come evidenziato dai servizi giornalistici che hanno provocato queste mie riflessioni Dall’ Umbria alla Campania, dalla Sardegna all’ Abruzzo ed ormai in tutte le parti della nostra penisola i giovani diplomati e laureati stanno aprendo nuovi e più rosei orizzonti alle attività trascurate per decenni. Ai giovani abruzzesi, che in un luogo caratteristico, considerato come l’anticamera del Parco del Gran sasso e della Laga , stanno rilanciando il fagiolo della piana di Paganica, fanno eco gli umbri della provincia di Perugia con la riscoperta della fagiolina del Trasimeno che già da qualche anno si è trasformato da carne dei poveri in prodotto di nicchia per il prezzo lievitato a livelli non accessibili a tutti. In entrambi i casi il segreto del successo sta nella garanzia della purezza delle acque irrigue garantita dalla cura e dalla sorveglianza continua dei canali e la creazione di una coreografia naturale, fatta di stradine e sentieri che collegano la campagna alle tante testimonianze architettoniche delle rispettive zone,. Sempre in Umbria dalle parti di Cascia un piccolo gruppo di giovani imprenditori è riuscito a far assurgere il pisello selvatico (roveia) a prodotto tipico della regione, che va ad affiancarsi al tartufo di Montefalco e ai pecorini lavorati ancora a mano con fornello e pentolone, metodo importato dai pastori sardi arrivati con le loro greggi a trovare pascoli più fiorenti. Anche dalla Campania giungono segnali di vivacità imprenditoriale da parte dei giovani che, oltre che settore caseario, grazie al fiorente mercato della mozzarella di bufala, della pizza, della pasta e della sfogliatella, si dedicano alla coltivazione di prodotti di nicchia tra cui le notissime noci di Sorrento.
Tutto ciò costituisce un valore aggiunto per il recupero del rapporto dell’uomo con la terra. I giovani “dottori” che si sono decisi a tornare nelle campagne dei bisnonni hanno ormai compreso che la terra va difesa, va curata con progettualità e competenza e che tocca a loro agire da avvocati, da medici e da ingegneri . La terra vive di luce, di acqua, di aria di calore e della loro intelligente passione.
https://www.studiumbri.it/alimentazione/i-legumi-dellumbria/
Il Centro/L’Aquila 10 settembre 2021
Uno Mattina Weekend /Rai 11settembre 2021